L’esperienza meridionale ci porta a sottolineare con vigore la necessità di queste considerazioni: senza un impegno deciso sul piano della promozione delle capacità civili si rischia di provocare il consolidamento di una politica dei gruppi di potere, a cui va attribuita una notevole parte di responsabilità delle condizioni di arretratezza.
Così si esprimeva Giulio Pastore, ministro del Mezzogiorno, parlando a San Pellegrino nel settembre 1961, nel corso del primo convegno di studio sui fondamenti ideologici del Partito della Democrazia Cristiana.
Pastore era al Mezzogiorno dal luglio 1958, con l’interruzione dovuta al governo Tambroni nato anche grazie ai voti neofascisti a motivo dei quali egli si era subito dimesso.
Nel 1964, nel pieno della sua decennale azione meridionalista, parlando a Portici, all’Istituto di Agraria dell’università di Napoli, precisava i suoi convincimenti, evidenziando come l’affermazione di una società pluralista fosse la condizione base per la rottura dei vecchi equilibri clientelari. Un processo non spontaneo però, da accompagnare attraverso un organico programma di assistenza tecnica agli imprenditori e ai responsabili del governo locale, affinché nel Mezzogiorno modernizzazione e democrazia procedano di pari passo.
Da ministro, Pastore si mosse con accorta determinazione non disgiunta dalla creatività. Dette piena fiducia a Gabriele Pescatore, eccellente giurista e sagace amministratore, puntò decisamente sulla nascita di una rete di industrie facilitando il procedere degli imprenditori pubblici e privati, spinse per il coordinamento dei programmi delle amministrazioni centrali e dell’intervento straordinario affinché quest’ultimo da aggiuntivo che doveva necessariamente essere non recedesse a sostitutivo, una battaglia quotidiana, condotta a viso aperto nei confronti dei colleghi di governo, non pochi dei quali meridionali, dalla quale risultò sconfitto per mancanza di strumenti normativi.
Di fronte a un dibattito incentrato sulle infrastrutture fisiche e sull’industrializzazione, settori sui quali peraltro era doveroso continuare a investire, Pastore non ebbe mai remore nell’affermare che l’azione principale, risolutrice, alla quale dedicare riflessione, progettazione e risorse materiale e personali era quella che lui definiva “operazione sul fattore umano”.
Pastore – un politico senza macchia che ricordiamo a cinquant’anni dalla morte – capì subito quali erano le necessità prioritarie e assolute del Mezzogionro, che la “Cassa” da sola non avrebbe potuto risolvere. Rendere cioé la società meridionale capace di autogovernarsi, mettendo a fondamento l’impresa, la scuola, la ricerca, il mercato, le professionalità, in sintesi la persona. Ancorando il progetto al lavoro, all’impegno, alla responsabilità, al merito in una società in cui libertà e giustizia procedessero di pari passo, puntando sempre al traguardo, irraggiungibile, ma non per questo meno nobile, dell’uguaglianza.
Sergio Zoppi
Comitato scientifico Associazione Dorso