La funzione civile della Letteratura nel rapporto con la Medicina
di Giulio Tarro
Dalla peste dei secoli scorsi alla tisi dell’800 e inizi ‘900, non meno che nell’antichità la malattia ha sempre costituito un tema letterario per eccellenza. Anche per le credenze popolari (e i pregiudizi) ad essa collegati: se per un verso sia la tbc quanto la sifilide erano ritenute particolarmente stimolanti per l’attività intellettuale, è anche vero che essa era considerata molto più spesso uno stigma negativo. Vanno tuttavia fatte delle distinzioni: il tema è stato trattato sia come sfondo alle vicende narrate ed espressione del tempo, sia come testimonianza medico-scientifica, ma l’aspetto più interessante è in genere l’esperienza diretta, e il modo in cui si riflette nei personaggi principali. Così essa spesso diventa metafora. Del resto, fin dall’antichità Apollo era insieme dio della medicina e delle arti, inoltre la letteratura è piena di personaggi che sono medici o celebri pazienti. Da un lato la medicina ha, nel rapporto con il paziente, aspetti intuitivi che l’avvicinano all’arte, dall’altro la letteratura si è spesso ispirata alla medicina e ciò è riscontrabile anche nel linguaggio stesso delle due discipline e nella loro storia. Non a caso molti medici sono stati anche grandi scrittori, basti citare Bulgakov o Cechov. Infiniti, quindi, i legami tra Letteratura e Medicina. “Tra medicina e letteratura corse sempre amicizia” scrive uno scrittore a me caro, Carlo Dossi, che evidenzia come questa amicizia sia suggellata non solo per la gran quantità di medici che “hanno occupato, nel cosiddetto campo letterario, assai pertiche per coltivarvi piante non sempre medicinali”, ma soprattutto per essere alleate nella stessa missione: medicina e letteratura cercano infatti “di richiamare il bel tempo, o, se non altro, di dissimulare il cattivo, una al corpo, l’altra all’animo”. Ma il binomio Medicina e Letteratura si presta a numerose altre interpretazioni.” La scrittura come farmaco” sentenziava, ad esempio, Platone e oggi la Medicina Narrativa (NBM, Narrative Based Medicine, nell’inevitabile acronimo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) sta diventando uno strumento, non solo nel campo psichiatrico, per meglio approfondire il rapporto medico-paziente e fare emergere la intrinseca valenza della narrazione della patologia operata dal paziente considerata al pari dei segni e dei sintomi clinici della malattia stessa. La malattia, infatti, imprigiona spesso il paziente in una narrazione fissa e rigida di sé, non facendo scorgere la possibilità di un percorso vero ed autentico alla riscoperta di se stessi e del proprio rapporto con gli altri. Scrivere e raccontare così il proprio dramma ad altri aiuta ricostituire la propria identità. In questo la medicina narrativa è emersa come nuova modalità operativa per la medicina clinica, utilizzando le abilità testuali ed interpretative del malato ma anche del medico.
La Medicina Narrativa – codificata nella sua forma moderna da Rita Charon dell’Università dell’Illinois – dal 1977, anno del suo apparire, nella prestigiosa rivista JAMA, The Journal of the American Medical Association, evidenzia come la medicina basata sull’evidenza, cioè quella che formula diagnosi a partire dai sintomi che il paziente manifesta, non tiene conto di tutti quegli aspetti emotivi che caratterizzano la persona ed influiscono, più o meno direttamente, sullo stato della malattia. La Medicina Narrativa, invece – per fare nostre le parole di Rita Charon – “fortifica la pratica clinica con la competenza narrativa per riconoscere, assorbire, metabolizzare, interpretare ed essere sensibilizzati dalle storie della malattia: aiuta medici, infermieri, operatori sociali e terapisti a migliorare l’efficacia di cura attraverso lo sviluppo della capacità di attenzione, riflessioni, rappresentazione e affiliazione con i pazienti e i colleghi.” In questo senso la Medicina Narrativa si avvicina, filosoficamente parlando, agli approcci olistici tipici delle medicine non convenzionali, che a fronte di una classificazione rigida delle malattie, propongono una soggettivizzazione del paziente, visto in tutta la sua complessità e unicità. Le storie offrono l’occasione di contestualizzare dati clinici e soprattutto bisogni, e permettono di leggere la propria storia con gli occhi degli altri, apportando una ricchezza e una pluralità di prospettive oggi assenti. La narrativa permette al paziente di sentirsi non isolato, ma al centro della struttura e questo offre, a sua volta, agli operatori ospedalieri la possibilità di avere una visione più completa dei problemi. Ma, al di là della Narrative Based Medicine che, suo malgrado, sta diventando una delle tante specializzazioni della Medicina, il rapporto tra Medicina e Letteratura si snoda in innumerevoli valenze. Mi è infine particolarmente caro il rapporto tra Medicina e Poesia, un binomio certamente azzardato secondo Aristotele il quale asseriva che “alla Medicina si affida il corpo, alla Poesia l’anima”. Forse è meglio allora dilatare il concetto di Medicina a quello di Scienza e calibrare il discorso sul rapporto tra Scienza e Poesia facendo mie le parole di Goethe “la scienza è figlia del desiderio di conoscere, la poesia figlia del desiderio di conoscersi”. Ma cosa è la Scienza e a cosa serve? E la Poesia a cosa serve? È strano, ma scienza e poesia, in epoche passate, venivano considerate entrambe come imprese dell’immaginazione, modi complementari di esplorare il mondo della natura. In verità la scienza, come la poesia, non serve a niente di concreto, di materialmente utile. A differenza della tecnologia, la scienza è puro interesse culturale, è desiderio di sapere. È arte, intuizione, fantasia, uno strumento di conoscenza, come la poesia.